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Ludwig Mies van der Rohe, architetto e designer tedesco del ventesimo secolo, aveva tra i suoi motti due principi che dovrebbero guidare sempre chi si cimenta nella realizzazione di una rete wireless: “Less is more” (il meno è più) e “God is in the details” (Dio è nei dettagli).
Sempre di più, infatti, le problematiche che si riscontrano nelle reti wireless esistenti, o negli errori di progettazione di nuove architetture, sono causate dall’abbondanza, o potremmo dire dall’eccessivo numero, di dispositivi. Con questo articolo cercheremo di spiegare perché, quando si parla di Wi-Fi, il minimalismo è spesso il migliore dei design.

Innanzitutto una precisazione: per molto tempo si è parlato di “wireless coverage” (copertura wireless) per indicare una zona in cui fosse fruibile l’accesso senza fili. Ancora oggi è uno dei punti più importanti, e lo si rappresenta con quelle mappe colorate che mostrano quanto forte è il segnale nelle varie aree della planimetria.

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Però non è più sufficiente parlare di “forza”, e il nuovo elemento che deve essere preso in considerazione è la “wireless capacity” (capacità wireless), ovvero la reale abilità dell’infrastruttura di fornire un livello di servizio adeguato alle richieste. Il lessico però cambia molto più lentamente di quanto non faccia la tecnologia, e rimane di uso comune il termine “copertura” quando si parla di reti senza fili. Anche in questo articolo sarà così: non lasciatevi ingannare.

Pensalo come una lampada

Un altro punto da chiarire è quello dei parallelismi che vengono comunemente utilizzati per spiegare, in modo semplice, come funziona una rete wireless.
Il più comune è senz’altro quello “illuminotecnico”, in cui si parla degli access-point come fossero delle lampade che devono “illuminare” una certa zona.

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A basso livello, il paragone regge bene, ed è utile per una stima del numero di apparati necessari per coprire una determinata area. Ad esempio, in un grande stanzone vuoto una coppia di lampade appese al soffitto potrebbero esser sufficienti per illuminare l’intera area. L’aggiunta di scaffalature metterebbe in evidenza le “zone d’ombra” e ci farebbe presto capire dove debbano essere posizionati ulteriori punti luce così da garantire una corretta e omogenea illuminazione.

Sembra funzionare, vero? Il fatto è che ci sono quantomeno tre elementi che distinguono i due scenari:

  1. Tutte le lampade emettono la stessa luce, e non è importante quale percentuale di quale lampada stia illuminando un determinato punto: l’importante è che sia illuminato. In ambito wireless invece ogni access-point lavora su un canale diverso (se si tratta di apparati adiacenti) ed i segnali non si “sommano” tra loro, ed uno deve “prevalere” sugli altri.
  2. La luce riflessa dalle strutture non è un problema: anzi, spesso l’illuminazione indiretta è desiderata e progettata. Lo stesso non è vero per i segnali radio, la cui dispersione, rifrazione e riflessione può causare seri problemi al loro utilizzo.
  3. La luce è monodirezionale, mentre le comunicazioni wireless sono bidirezionali.

Penso inizi a trasparire come una progettazione di basso livello non sia sufficiente, e debba essere integrata con più accurate riflessioni. Per continuare dobbiamo però chiarire alcuni concetti, un po’ come quando si preparano sul piano della cucina gli ingredienti per la ricetta. Ci sono infatti dei punti chiave, dei concetti che devono essere ben assimilati per poter capire come ragionare quando si disegna una soluzione Wi-Fi.

Medium access (accesso al mezzo)

Immaginate per un momento di essere in treno: state chiacchierando con il vostro compagno di viaggio, seduto di fronte a voi, e il vicino sta facendo lo stesso con il suo amico. Normale, nulla di strano: la vostra attenzione è sulle parole di chi avete davanti, e, sebbene il vostro orecchio riceva anche la voce degli altri, il cervello è in grado di scartare selettivamente quello che non gli interessa.
Con le trasmissioni di dati non è così: si deve parlare uno alla volta.
Prima dell’avvento degli switch, nelle reti cablate venivano utilizzati gli hub, che potevano dar luogo a collisioni ogni qual volta due dispositivi avessero “parlato” contemporaneamente. Per ovviare a questo problema fu introdotto il protocollo CSMA/CD (Carrier Sense Multiple Access with Collision Detection).

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Semplificando: durante la trasmissione del dato, il trasmettitore misura la tensione sul cavo e se questa è superiore a quanto trasmesso, allora c’è stata una collisione, ovvero due dispositivi hanno inviato dei dati nello stesso momento, ed il dato deve essere ritrasmesso.

Con i segnali radio non è possibile fare lo stesso, ed è quindi stato pensato un metodo diverso: CSMA/CA (Carrier Sense Multiple Access with Collision Avoidance). In questo caso il trasmettitore deve attendere che il canale sia libero prima di poter trasmettere il dato, o di prenotare l’uso del canale.

Si capisce, quindi, come un corretto uso della radiofrequenza sia essenziale per garantire il corretto funzionamento dei dispositivi.

Channel overlapping (sovrapposizione di canali)

Il boom del Wi-Fi è avvenuto a 2,4Ghz. I primi dispositivi operavano esclusivamente su questa banda, e ci sono voluti alcuni anni prima di veder apparire sul mercato apparati dual-band, ovvero capaci di lavorare anche a 5Ghz. Purtroppo però la banda utilizzata dal protocollo 802.11g prevede, a seconda delle nazioni, dagli 11 ai 14 canali, di cui solamente 3 non sovrapposti: infatti ciascun canale è largo 20Mhz (inizialmente con il protocollo 802.11b era di 22Mhz) ma la distanza tra loro è di soli 5Mhz. Il risultato è che solamente i canali 1, 6 e 11 possono essere utilizzati senza che ci sia sovrapposizione tra loro.

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Diverso è il discorso a 5Ghz: qui abbiamo, quantomeno in Europa, 21 canali a disposizione, senza sovrapposizione tra loro. Questo permette una più semplice assegnazione dei canali ai vari access-point, senza incorrere nel “riuso” di qualche canale in aree in cui sia già utilizzato da altri apparati.

Scattering (dispersione), refraction (rifrazione), reflection (riflessione)

Per capire questi fenomeni ci torna comodo il paragone utilizzato in precedenza.

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Basta infatti pensare alla “disco ball”, la palla fatta di specchi della discoteca: una luce la colpisce e la stanza si riempie di piccole macchioline luminose. Lo stesso libro che sarebbe stato perfettamente leggibile se illuminato dalla lampadina è ora difficile da leggere, eppure la quantità di luce è la stessa. Questo è lo scattering.

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La rifrazione invece comporta la variazione di direzione di un segnale, tipicamente un fascio di luce (ma è pur sempre un segnale radio). L’esempio più comune, e anche più evidente, è quello che succede guardando attraverso un bicchiere pieno d’acqua: l’immagine appare totalmente capovolta, provare per credere! Questa distorsione può alterare il segnale trasmesso, fino a compromettere totalmente la comunicazione.

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Infine la riflessione: in questo caso provate a fare la chiacchierata di prima, sul treno, ma con la testa infilata dento una scatola, così che la vostra voce possa tornare prepotente dentro le vostre orecchie. Serve aggiungere altro sul perché la riflessione sia un problema?

Less is more

Penso sia ora più chiaro: la realizzazione di una rete wireless non può essere solo una questione di quantità, ma deve tener conto della qualità: e spesso la si ottiene riducendo il numero di apparati e curandone maniacalmente la loro posizione.
Con troppi access-point nella stessa area e senza le opportune schermature il rischio di ottenere una eccessiva utilizzazione della radiofrequenza è molto elevato, con conseguente degrado delle performances. E lo stesso vale per il numero di client, che deve essere ipotizzato in fase di progettazione e spesso determina la scelta di utilizzo della banda 5Ghz vista la sua naturale versatilità.
Solo così è possibile realizzare una infrastruttura capace di erogare un servizio di qualità, mettendo il massimo dell’impegno nel cercare di contenere al minimo la soluzione realizzata.

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